Campagna e il Castello Gerione

La prima notizia ufficiale che si ha del castello Gerione risale al 1056 in un «istrumento» dell’Abbazia della SS. Trinità di Cava de’ Tirreni. Fu edificato da Gisulfo II per difendersi dai normanni Umfredo e Guglielmo d’Altavilla, proprio ai tempi di Guaimario IV, al tempo principe di Salerno. Sarebbero pure stati ospiti al suo interno il Conte Riccardo (1082), imparentato con i principi longobardi di Salerno, o il visconte Sico (1095).

Ruderi

Successivamente nel periodo svevo e angioino il castello venne utilizzato per scopi prettamente militari. Fu alle dirette dipendenze dell’imperatore Federico II almeno sin dal 1231. Dopo la morte di Federico II (1250), durante la minorità di Corradino, il «castrum Campanie» venne donato da papa Innocenzo IV a Filippo di Acerno. Con l’avvento degli angioini il castello di Campagna venne inserito tra le principali fortificazioni dal punto di vista militare nella linea di difesa intorno a Salerno. Vari nobili, in genere cavalieri giunti al seguito di Carlo I d'Angiò, si avvicendarono nel suo possesso. Alcuni castellani del castello nel periodo angioino ci sono noti attraverso i registri della cancelleria: tra il 1269 e il 1271 vi troviamo Roberto Beloulieu e il suo successore Stephano de Basiniaco; dall’8 luglio 1271 al 1 agosto 1274 Petrus Corberius, che il 3 settembre 1274 fu nominato Provisor del Principato da Carlo I. e divenne castellano del castello per tre anni di seguito. Fino ad allora i castellani restavano in carica al massimo un anno, oppure nella durata dello stesso si cambiavano frequentemente; ciò a testimonianza dell’importanza che doveva avere il castello. Le ultime notizie relative al castello risalgono al XVI secolo, quando fu ceduto dal nobile feudatario Ferdinando Orsini alla Collegiata della Cattedrale di Santa Maria della Pace di Campagna. Il castello è posto all’interno della gola circondata da montagne, le quali permettono una difesa naturale contro i nemici. 

 

Per controllare le poche vie di accesso alla vallata fu dunque posto sulla piccola collina del Girolo, la cui elevazione è di 440 metri sul livello del mare, situata al centro della gola; da questa posizione si poteva controllare dall’alto tutta la gola del paese e dei territori limitrofi, che da nessun altro luogo della valle si potrebbero vedere. E’ dunque una posizione strategica contro i nemici e forse, visto il posto dove fu eretto, il castello prende il nome Gerione. Inoltre salendo dalla collina del Girolo si presente già una difesa murale che collegava il casale di San Bartolomeo alla fortezza. Si tratta di un lungo muro, conservato solo per alcuni tratti, che doveva separare, il ripido versante occidentale dell’altura da quello orientale, inaccessibile perché a strapiombo. Arrivati sulla sommità della collina si accedeva al maniero attraverso una porta affiancata da due torri che permettevano l’ingresso in un primo cortile a pianta irregolare, forse una piazza d’armi. Attraverso una seconda porta e una rampa esterna si accede ad un secondo cortile con quota più elevata all’interno del quale vi era la scuderia. Questo secondo cortile è difeso da una torre a pianta quadrata inserita all’interno del cinto delle mura; lungo le mura si aprono regolarmente piccole feritoie per permettere la difesa di un eventuale attacco. Per accedere alla vera e propria roccaforte bisognava prima superare il fossato, grazie a un ponte levatoio di legno incastrato in un muro possente, e poi oltrepassare una porta che permette l’ingresso all’interno. Alcuni resti del complesso architettonico sono volte a crociera e a botte. Al castello fu poi affiancata una croce di ferro dai padri missionari intorno agli anni sessanta.

 

Il mito

Fratello di Echidna, figlio di Poseidone (o, secondo altri mitografi di Crisaore) e di Calliroe, dunque discendente di Medusa. Era un mostruoso e crudelissimo re che viveva nell'isola di Eritrea, nelle nebbie dell'estremo Occidente oltre lo sconfinato mare, che i mitografi hanno identificato con la Spagna. Possedeva mandrie di buoi sorvegliate dal pastore Eurizione e dal cane Ortro. Per ordine di Euristeo, Eracle (o Ercole) doveva rapire al Gigante i suoi buoi, ma dovette scontrarsi prima con il cane e poi con il pastore, avendo la meglio di entrambi. Accorse lo stesso Gerione a difendere i suoi servi, ma fu anche lui sconfitto e ucciso con la clava. Eracle poté quindi fare ritorno in Grecia con le mandrie, affrontando tuttavia infinite avventure lungo la strada.

 

La figura

La figura di Gerione  non ha una sola immagine, ma tuttavia la maggior parte delle volte è identificato come un gigante dal triplo corpo, e dunque con tre teste, tre busti, sei braccia e sei gambe.

 

Citazioni

Sono varie le citazioni di Gerione nella mitologia o anche nei componimenti di letteratura. Il primo poeta fu Esiodo, vissuto nel VII secolo a.C., nella Teogonia. A seguito di questa primo componimento del tutto orale, poi trascritto, del quale non ci restano altro che piccoli frammenti dai quali non si può capire il contesto, ha avuto seguito una sorta di fenomeno che molti chiamano Gerioneide. Partecipanti a questo tipo di “movimento letterale” vi furono anche Stesicoro di Imera, vissuto nel VI secolo a.C.: «[…] Insieme ad Eracle io ti lodo, Gerione: ma ciò che a Zeus non è caro io taccio assolutamente […]» (Bowra, frammento 70); «[…] la legge di tutto sovrana (νόμοσ βασιλεύσ - legge veneranda),  dei mortali e degli immortali, guida facendola giusta l’azione più violenta con mano suprema. Lo attesto con gli atti di Eracle: poiché di Gerione le mandrie alla dimora ciclopica di Euristeo non richieste né comprate condusse […]» (Bowra, frammento 150); «[…] con aspetto di ladrone, che si aggira da solo con la clava, la pelle del leone nemeo (= Nemea) e l’arco […]»(Bowra frammento 229); «[…] Il dardo che. nella punta  aveva il destino di morte, intriso nel sangue…e nella bile, per i dolori dell’idra che gli uomini uccide, dal collo screziato. In silenzio, furtivamente nella fronte si conficcò: e lacerò la carne e le ossa per volere di un dio. In cima alle teste rimasse infisso il dardo, e di sangue purpureo contaminava la corazza e le membra insanguinate. Reclinò Gerione il collo di lato, come a volte un papavero, quando, deturpando il corpo tenero, lascia cadere i petali […]». Altro scrittore che raccontò di questo mostro si crede sia stato Pisandro di Rodi nel 600 a.C. nella decima fatica di Ercole, raccolta insieme alle altre nell’Eracleia.In seguito lo citò Virgilio nell’Eneide (componimento scritto fra 29 a.C. e il 19 a.C.) senza nominarlo, ma alludendo soltanto alle sue forme «[…] forme tricorporis umbrae […]» (Eneide, libro sesto, verso 289) e «[…] tergeminus Geryon […]» (Eneide, libro ottavo, verso 202). Dopo di lui a parlarne fu Ovidio nelle sue Heroides, componimento di cui non abbiamo una data certa di scrittura che associamo dunque alla vita del poeta fra il 43 a.C. e il 20 d.C.: «[…] prodigium triplex, armenti dives Hiberi Geryones, in tribus unus […]» (“né il triplice mostro, Gerione, ricco dei buoi iberici, un solo essere in tre corpi”; nono libro, versi novantuno e novantadue). Nello stesso periodo anche Orazio lo nomina in una delle sue odi composte fra 23 a.C. e il 13 a.C.: «[…] ter amplum Geryonen […]» (“che il triplice Gerione”; libro secondo, verso 14). Infine altro poeta che citò il gigante fu Boccaccio nella sua opera Genealogiae deorum gentilium composta nel 1365: «[…] Eam scilicet iusti hominis habere faciem, corpus reliquum serpentinum variis distinctum maculis atque coloribus, et eius caudam terminari in scorpionis aculeum, eamque Cociti innare undis adeo ut illis excepta facie totum contegat horridum corpus, eamque Gerionem cognominat. […]et inde Gerion dicta, quia regnans apud Baleares insulas Gerion miti vultu, blandisque verbis et omni comitate consueverit hospites suscipere, et demum sub hac benignitate sopitos occidere. […]» (libro primo, capitolo 21).

 

Il Gerione di Dante Alighieri

Nella sua grande opera, La  Divina Commedia, Dante nel diciassettesimo canto dell’Inferno incontra il mostro, chiamato da Virgilio, che lo aiuterà a continuare il suo viaggio mistico. Il poeta regala a Gerione una nuova immagine: non è più un gigante dal triplice corpo, ma un essere infernale dal corpo di una natura molteplice, inspirato da vari poeti come il maestro Brunetto Latini o Plinio il Giovane: uomo in volto,  leone nelle zampe artigliate, serpente nelle restanti parti del corpo (che ricorda Medusa, di cui è il nipote) e infine scorpione nella coda velenosissima coda biforcuta.  Il perché questa creatura fosse così terribilmente orribile è dovuta al fatto che Dante cercasse un mostro che incarnasse la frode. Lo stesso poeta prova ribrezzo a salirgli in groppa per scendere nel girone sottostante, ma tuttavia pur di farlo si aggrappa alle sue spalle. E’ al quanto importante ricordare che Gerione non possiede ali, ma viene sospeso in aria dall’aria che viene dal basso dell’Inferno. Lo stesso dante ce lo descrive (Canto 17, versi 7-17, 28-30):


[…] E quella sozza immagine di froda
Sen venne, ed arrivò la testa e ‘l busto,
ma ‘n su la riva non trasse la coda.
La faccia sua era faccia di uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d'un serpente tutto l'altro fusto;
due branche avea pilose insin l'ascelle;
lo dosso e l'petto e ambedue le coste
dipinti avea di nodi e di rotelle.
Con più color, sommesse e sovraposte
non fer mai drappi Tartari nè Turchi 
[…]
Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in su la venenosa forca
ch'a guisa di scorpion la punta armava. […]